LIBERTA’ NATURA BELLEZZA SOLITUDINE SILENZIO

di Elisabetta De Vidi
… Continuo a pensare che viaggi come questo dovrebbero essere un dovere, prima ancora che un piacere. L’Islanda è capace di insegnare molto, anche a chi non ha la giusta sensibilità per coglierlo: la dirompenza della sua natura ha il potere di far sentire l’uomo piccolissimo e di disarmarlo, com’è giusto che sia. Non siamo altro che ospiti privilegiati su questo pianeta, e dovremmo camminarci in punta di piedi, dandogli il rispetto che merita.”

E questo è davvero quello che abbiamo pensato mentre giravamo per questo paese di sconfinata bellezza.

Programma: 
Sabato 3 agosto 2019Ore 7.30 Partenza da Malintrada di Motta di Livenza
Domenica 25 agosto 2019Ore 19.00 Fine escursione
Dislivelloin crescendo
DifficoltàMotociclistiEspertiAttrezzati
EquipaggiamentoNON DIMENTICARE Costume da bagno, infradito e asciugamano
PartecipantiMarco Piazza Elisabetta De Vidi Motosilurante B-53 BettyBoop
Km percorsi7mila

Sabato 3 Agosto 2019. Ore 7.30. Non manca nulla! I bagagli sono al loro posto da ieri sera, idem il nostro “kit emergenza”. Divise, caffè, azioniamo il dispenser automatico che alimenta i pesci del nostro acquario e ci mettiamo in viaggio. La giornata è limpida e non sono previste grosse perturbazioni. Arriviamo ad Ingolstadt nel tardo pomeriggio e decidiamo di cenare in una accogliente birreria in centro al paese. Il giorno dopo facciamo tappa ad Hannover dove a nostra insaputa è in corso un festival gastronomico e approfittiamo dell’evento per assaggiare qualche specialità locale e provare nuove birre. Il terzo giorno arriviamo ad Hirtshals in Danimarca da dove salperemo con la nave diretta in Islanda.

La mattina del 6 agosto siamo in molti ad attendere il traghetto. Auto, camper, fuori strada, noi due, la nostra moto e pochi altri motociclisti temerari. L’aria tutt’attorno è carica di emozione. Ci assegnano la cuccetta dove trascorreremo i prossimi 2 giorni di viaggio e prendiamo confidenza con la nave. A parte una coppia di anziani, siamo gli unici due italiani a bordo. Dopo 48 ore di navigazione e una breve tappa alle isole Faroe sbarchiamo sulla nostra isola. L’impatto è da subito decisivo. Il termometro segna 4,5°C, piove e soffia un vento pazzesco. Indossiamo gli antipioggia ed iniziamo la nostra avventura. Lasciato Seyðisfjörður, la  strada inizia a salire con una serie di tornanti, tutt’attorno è un susseguirsi di cascate, il freddo e la pioggia sono incessanti e mano a mano che procediamo ci sentiamo sempre più piccoli e impotenti. La prima tappa è la cascata Dettifoss, la potenza e la forza di quest’acqua e il salto enorme nella gola sottostante sono impressionanti e paurosi. Dopo aver visto questa cascata prendiamo un altro sentiero per arrivare alla cascata Selfoss, anch’essa stupenda, meno possente e potente, ma più scenografica e bella visivamente.  Riprendiamo la moto, dopo pochi metri l’asfalto scompare e iniziamo a percorrere un tratto sterrato le cui condizioni peggiorano mano a mano che avanziamo, non c’è anima viva e il primo pensiero è “dove diavolo siamo finiti!”.

Inizio ad avvertire una sorta di rifiuto, come se l’isola detestasse la nostra presenza e dentro di me si fa strada un senso di paura.

Giungiamo al primo distributore,  le mani sono congelate, i piedi umidi, sulla pompa opposta alla nostra arriva un fuoristrada, si ferma, e aperto il finestrino, il conducente ci dice “Non vi invidio affatto”. Marco, sollevato il casco, risponde “ti assicuro che essere al lavoro sarebbe peggio”.

Ricordo perfettamente questo momento e lo riporto tutte le volte che mi capita di raccontare del nostro viaggio perché credo ci abbia portato fortuna. I giorni a seguire infatti sono andati sempre meglio, è stato un crescendo di emozioni e rifarei tutto altre mille volte. Giunti ad Husavìk la sera stessa, la compagnia dove avevamo prenotato un’escursione in mare per l’avvistamento delle balene ci fa sapere che non saranno in  grado di uscire almeno per i prossimi 3-4 giorni causa il maltempo e il mare grosso. Ci chiudiamo dunque nel nostro ostello dove le uniche nostre priorità sono dare un riparo a BettyBoop, fare un bagno caldo e concederci una bella dormita per esser pronti e carichi il giorno dopo. Recuperate le forze e l’entusiasmo, ci rimettiamo in strada, la pioggia va scemando e così anche il freddo, davanti a noi si apre il palcoscenico e l’Islanda si fa conoscere in tutto il suo splendore. Ci spostiamo verso la zona del lago Myvatn, tra crateri, solfatare, pozze di fango ribollente. Ed è qui che facciamo la nostra prima esperienza nei loro bagni termali, dove, prima di entrare è OBBLIGATORIO farsi una doccia nudi, ma poi puoi rilassarti anche sorseggiando una birra mentre sei a mollo a 40°C! Procediamo verso Godafoss, la cascata degli dei. Il nome di questa cascata deriva da una leggenda secondo la quale, nell’anno 1000, un legislatore del parlamento islandese fece del Cristianesimo la religione ufficiale d’Islanda. Dopo questa conversione si dice che, tornando dall’ Alþingi, Þorgeirr gettò le sue statue degli dèi nordici nella cascata.  Ancora oggi gli Asatruar, cioè il 5% della popolazione che ha mantenuto nei secoli la religione pagana, si ritrovano presso la cascata in occasione del solstizio d’estate per celebrare la festa della luce ed eseguono il rito contrario a quello dell’oratore: dal basso della cascata lanciano in alto gli idoli quasi a volerli ripristinare al loro posto.

Lasciamo dunque il nord per spostarci verso la penisola di Snaefellsnes ad ovest dove anche il meteo sembra migliorare. E’ davvero bella e noi siamo stati molto fortunati perché l’abbiamo girata col sole e l’abbiamo apprezzata ancora di più. Ricordo pilastri di Londrangar che si slanciano verso l’alto come spruzzi di lava congelata e il faro di Malariff. Abbiamo partecipato ad una delle escursioni al tunnel di lava Vatnshellir 32 metri sottoterra. Ci siamo poi spinti sino alla spiaggia di sabbia nera di Djupalonssandur e di Dritvik in cui si trovano ancora pezzi di metallo arrugginito di un peschereccio.  Ci siamo fermati ad ammirare il Kirkjufell, una montagna alta poco meno di 500 mt con una forma molto particolare a cono e una bellissima cascata di fronte, che sta a guardia del paesino di Grundarfjordur e poi siamo arrivati al bellissimo Stykkishólmur, un paesinomagico e suggestivo, con casette basse,  un porto pittoresco riparato da un’isola di basalto in cui svetta un faro che domina tutta la città e offre splendidi scorci sul Breiðafjörður, una baia piena di isolette rocciose davvero scenografiche. Abbiamo anche fatto una breve deviazione verso Hvammstangi per vedere le foche. Siamo dunque arrivati a Reykjavik. La città in sé non è enorme e secondo me neanche stupenda, soprattutto se paragonata a quanto visto prima in Islanda, ma comunque è da visitare. Vicino al porto si dice ci sia il furgoncino di Hot Dog migliore di tutta l’Islanda: è il “Baejarins bestu“. Potevamo non provarli?! Qui hanno mangiato hod dog anche Clinton e molti altri personaggi famosi. A pochi km da Reykjavik abbiamo esplorato la penisola di Reykjanes, un paesaggio quasi lunare, circondati da rocce nere, con il Lago Kleifarvatn, la Riserva Naturale di Reykjanesfolkvangur, la solfatara di Seltun e le pozze di fango di Hverarond, per poi spingerci sino alle scogliere di Hafnaberg, famose per il birdwatching. Non poteva mancare una sosta al Bridge between continents,  un vero e proprio ponte tra due continenti, che collega le placche tettoniche americana ed euroasiatica. Sembra che in questo punto le due placche si allontanino al ritmo di almeno 2 cm l’anno!

Puntiamo dunque il Golden Circle. Le tre tappe più famose di questo circolo d’oro, Þingvellir, Gulfoss, e Geysir, permettono di visitare il sito storico più importante del paese, un’assordante e bellissima cascata e le potenti sorgenti calde tipiche d’Islanda. Essendo in perfetto timing con la nostra tabella di marcia decidiamo di aggiungere un’ulteriore tappa al lago vulcanico di Kerið circondato da ripide pareti di roccia vulcanica rossa scarsamente ricoperte di vegetazione che crea uno scenografico contrasto con i riflessi bluastri dell’acqua.

La sera pernottiamo a Hveragerði, il giorno dopo BettyBoop resta nel parcheggio del nostro albergo e noi due, muniti di zaino e scarpe comode ci incamminiamo appena fuori del paese verso una montagna dai colori bellissimi, in un paesaggio incantato, fatto di fumarole che uscivano dal terreno e fiumi fumanti che lo attraversavano. Dopo circa un’ora di cammino raggiungiamo Reykjadalur, un fiume caldo! Sono presenti delle passerelle di legno e paraventi per cambiarsi. Risalendo il corso del fiume, ogni 10 metri la temperatura aumenta di circa 1 grado, quindi occhio a non salire troppo sennò rischiate di scottarvi! È stata l’esperienza più incredibile, autentica, e bella di tutta la vacanza!

Riprendiamo la Ring Road visitando le cascate di Seljalandsfoss, Gljúfurárfoss e Skogafoss e la famosa spiaggia nera di Reynisfjara, una spiaggia bellissima che merita una visita, per via del panorama imperdibile che si ha, dominato a sinistra da faraglioni svettanti e da una nera scogliera in basalto colonnare e a destra l’arco naturale di Dyrhólaey, che con la sua imponenza, rende ancora più suggestivo il panorama. Qui abbiamo potuto ammirare moltissimi pulcinella di mare.

Su suggerimento di uno dei nostri ostellanti abbiamo aggiunto una tappa al nostro tour al ghiacciaio Solheimajokull di un colore blu intenso per le bolle di ossigeno intrappolate all’interno.

Prima di spostarci verso est, ci siamo avventurati sulla spiaggia di Solheimasandur dove il 24 novembre 1973 un aereo della US Navy fu costretto ad un atterraggio di emergenza. Tutto l’equipaggio sopravvisse all’impatto e riuscì a mettersi in salvo, ma l’aereo venne abbandonato sul posto. La sua carcassa è ancora lì dove si schiantò 40 anni fa ed è diventata una meta di appassionati e di aspiranti fotografi, poiché il luogo è molto suggestivo e affascinante e le foto sono molto d’impatto. Circa 8 km tra andata e ritorno, la carcassa si scorge solo all’ultimo come un miraggio, peccato per l’orda di turisti che non si sono fatti scoraggiare dalla lunghezza del tragitto!

Mano a mano che ci spostiamo verso est, il paesaggio tutt’attorno si fa più brullo, senza vegetazione ne muschio, solo sabbia e breccia nerissima. Le case iniziano a diradarsi e così anche gli ultimi segni di vita. Percorriamo km in totale solitudine. Noi, la moto e la natura che ci domina. Sulla strada che da Vik conduce allo Skaftafell, facciamo una piccola deviazione  per andare a visitare il Fjaðrárgljúfur, uno dei più bei canyon d’Islanda, ancora poco conosciuto e nascosto alla maggior parte dei turisti, ma che è un posto magico e stupendo. Alto 100 metri e lungo circa 2 km, è attraversato dal fiume Fjadra che lo ha scavato nei secoli rendendo questo posto bellissimo.

Giunti al parco Skaftafell, visitiamo la cascata Svartifoss, non è imponente ne potente come quelle viste i giorni prima, ma il contesto che la circonda la rende unica e particolare: cade tra numerose colonne di basalto esagonali nerissime, e questo strano connubio la rende davvero stupenda (il nome inoltre vuol dire proprio “cascata nera”). Lo Skaftafell racchiude al suo interno uno dei ghiacciai più grandi del mondo, il Vatnajokull (la più grande calotta glaciale del pianeta dopo i poli, è grande come l’Umbria). Ci spingiamo dunque sino allo Jökulsárlón, il più grande e conosciuto lago di origine glaciale d’Islanda. Situato a sud del ghiacciaio Vatnajökull, tra il Parco nazionale Skaftafell e la città di Höfn. Presenta numerosi iceberg che derivano dalla lingua del ghiacciaio del Breiðamerkurjökull e che rimangono in questa laguna a galleggiare finché con molta calma raggiungono il mare aperto. Partecipiamo ad un’escursione su dei mezzi anfibi che ci portano in mezzo alla laguna dove possiamo ammirare anche delle simpatiche foche. Il viaggio è oramai agli sgoccioli, ci spostiamo sui fiordi orientali e dopo una breve tappa ristoratrice al porto più antico nel paesino di Djúpivogur, la strada ci riporta a Seyðisfjörður per imbarcarci nuovamente il 22 agosto alla volta della terraferma regalandoci ancora scorci mozzafiato e un ultimo inaspettato saluto da alcune giovani balenottere nei pressi del Saxa Sea Geysir e delle nostre instancabili onnipresenti compagne di viaggio, le pecore islandesi!

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